Dopo averne seguito gli sviluppi in Italia, i casi di maggior successo e quelli invece caratterizzati da fallimenti, possiamo dire che lo Smart Working andrebbe visto come una vera e propria Rivoluzione per le Persone e per l’Organizzazione. Pensiamo infatti che certi aspetti, spesso lasciati sullo sfondo, come l’impatto sulle persone, sui gruppi, sulla comunicazione, sul sistema di valutazione e gli effetti relativi alla cultura organizzativa, debbano essere il punto di partenza, e non aspetti collaterali, di un progetto di implementazione dello Smart Working.
Quindi la questione è più complessa di come siamo abituati a pensare, non più telelavoro e nemmeno lavorare da casa con un PC, ma istituire una modalità di lavoro a distanza smart, o agile dove, non sono tanto gli aspetti di giurisprudenza o tecnologici a rappresentare un ostacolo o un’opportunità, ma piuttosto tutti quegli elementi di processo e di cultura organizzativa, “elefanti invisibili” che determinano o meno la riuscita dello Smart Working.
L’attuale situazione che sta vivendo il nostro Paese a causa del Coronavirus, ha portato il tema dello Smart Working all’attenzione di tutti, anche di chi fino ad oggi aveva trascurato questa possibilità. In poche settimane sono state stravolte le nostre abitudini e chi era meglio attrezzato, ha potuto proseguire la propria attività anche dal soggiorno di casa. Di contro, chi non era preparato, si è adattato come meglio ha potuto utilizzando le opportunità che la tecnologia offre. Pertanto anche in ambiti fino ad oggi abbastanza riluttanti all’utilizzo della tecnologia, vedi l’ambito della didattica scolastica, hanno fatto un balzo in avanti nel presente, utilizzando strumenti e tecnologie fino a ieri impensabili e (forse) facendo di un’emergenza, un’opportunità in chiave innovazione.
Tornare all’età della pietra sarà ora difficile. Questo periodo di quarantena, che pure speriamo finisca nel più breve tempo possibile, costringe le Aziende, le Organizzazioni e le Persone a immaginare nuove modalità di lavoro, non più legate ad uno spazio fisico, ad una scrivania.
Il tema che sembrerà fondamentale per imprenditori e manager sarà il controllo e soprattutto la sua mancanza. Come posso verificare il lavoro dei miei collaboratori? La tecnologia può venirmi in aiuto certo, ma non è la soluzione. L’Italia, che da questo punto di vista è sempre un po’ il fanalino di coda dell’occidente, deve fare un balzo in avanti anche culturale su nuovi modelli di management improntati sulla fiducia e sulla responsabilità.
Per offrire uno spunto sulla tematica, presentiamo il lavoro di Paul J. Zak, ricercatore statunitense che ha coniato il termine neuromanagement, come disciplina che integra studi delle neuroscienze agli studi sulle organizzazioni. Nelle sue ricerche empiriche, Zak ha “isolato” un fattore particolarmente importante, ossia la fiducia, trovando che nelle organizzazioni caratterizzate da una cultura basata su alta fiducia tra le persone, i dipendenti dimostrano: 50% in più di Produttività, 50% in più di Retention, 60% in più di Gioia, 70% in più di Focalizzazione, 74% in meno di livello di Stress e 106% in più di Energia. Il ruolo della leadership nel creare una cultura di fiducia è fondamentale. I leader creano le condizioni in cui i dipendenti applicano i loro sforzi, le loro energie e la loro creatività per il raggiungimento degli obiettivi organizzativi.
Alla luce di questi studi, sembra quindi che la cultura prevalente nel management italiano, basata ancora troppo spesso sul controllo o in chiave apparentemente più evoluta, sui compiti (tasks), sia destinata a fallire nel lungo termine oppure a far fallire progetti di Smart Working. Occorrerà che i Leader di oggi e di domani si arrendano alla logica schiacciante dell’impossibilità di controllare tutto e tutti, specialmente della sua scarsa convenienza, investendo invece su “iniezioni” di fiducia, responsabilità e lavoro per obiettivi.